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L’aria di Taranto è inquinata quanto quella di Roma. Lo spiego uno studio del ministero

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Lo studio ha permesso di rilevare una situazione di potenziale presenza di disturbi clinici e preclinici del neurosviluppo nell’area di Taranto

Secondo un’indagine condotta per monitorare l’inquinamento prodotto dall’Ilva, i livelli di Taranto non sono superiori a quelli di Roma per quanto riguarda gli inquinanti genotossici aerodispersi.

Lo si apprende dalla Relazione finale degli “Studi di biomonitoraggio e tossicità degli inquinanti presenti nel territorio di Taranto” compiuta da ministero della Salute e Istituto superiore di sanità. E anche il nord Italia è a rischio: in Lombardia si calcolano 300 morti l’anno per lo smog.

L’obiettivo dello studio è “la valutazione dell’esposizione di gruppi di popolazione residente in aree della città di Taranto prossime allo stabilimento Ilva a confronto con aree non impattate dalle emissioni dell’Ilva stessa e del possibile impatto sulla salute riproduttiva femminile e su funzioni cognitive in popolazioni pediatriche”.
Nel documento si sottolinea che i risultati e le relative implicazioni sui livelli di contaminazione atmosferica nei siti studiati “sono specificamente riferibili ai periodi in cui sono stati effettuati i campionamenti” e “possono non essere rappresentativi per periodi precedenti in cui varie attività antropiche possono avere avuto un impatto diverso”.

Come spiega lo stesso ministero, i risultati dello studio ”non possono ritenersi conclusivi e sono solo rappresentativi dei periodi in cui sono stati effettuati i campionamenti, considerando i limiti intrinseci dello studio in vitro, la bassa numerosità campionaria analizzata e il limite temporale dei rilevamenti ambientali, i risultati dello studio”. In ogni caso “i risultati dei test in vitro di immunotossicità, potenziale proinfiammatorio e genotossicità confermano la presenza di sostanze genotossiche, immunotossiche e con potenziale pro-infiammatorio nel particolato aerodisperso delle aree urbane ma non evidenziano specificità per la città di Taranto rispetto ad un altro sito urbano di riferimento”.

Inoltre, “lo studio ha permesso di rilevare una situazione di potenziale presenza di disturbi clinici e preclinici del neurosviluppo nell’area di Taranto, non riconosciuti e non adeguatamente sottoposti ad interventi preventivi, terapeutici e riabilitativi”. Si rileva che “il 15% di potenziali diagnosi cliniche osservato nel campione esaminato, basato per definizione su soggetti supposti sani, indica l’opportunità di ulteriori approfondimenti diagnostici ed epidemiologici”.

“Si tratta comunque di un risultato in linea con i dati epidemiologici mondiali sulle patologie del neurosviluppo – si osserva – comprendenti autismo, Adhd, disturbi dell’apprendimento e del comportamento, che interessano il 10-15% delle nascite”. “I disturbi osservati – si legge ancora – sono maggiormente evidenti nelle aree in prossimità delle emissioni industriali considerate ed in funzione inversa rispetto alla distanza dalle sorgenti, calcolata in riferimento ai camini di emissione dell’Ilva nelle cui adiacenze insistono anche una raffineria ed un cementificio”.

“Gli effetti neuropsicologici, come peraltro atteso – sottolinea ancora lo studio – sono associati soprattutto al piombo, anche se le concentrazioni interne di questo metallo e degli altri studiati risultano, globalmente, minori o dello stesso tenore di altri studi e non sono indicativi di sorgenti di esposizione specifiche, non risultando distribuiti diversamente in funzione delle zone di residenza né della distanza dalle sorgenti emissive”.

“Il ruolo dell’esposizione ad agenti neurotossici risulta pertanto uno dei determinanti degli effetti osservati nell’area di Taranto, assieme allo stato socioeconomico. Data la natura trasversale delle osservazioni – si osserva – non è possibile attribuire un ruolo di causalità, considerando la non disponibilità di dati di monitoraggio ambientale in prossimità delle scuole prese in considerazione che non ha permesso di identificare con precisione le sorgenti di esposizione”. Nelle conclusioni si ritiene comunque “opportuno evidenziare alcune limitazioni dello studio che risiedono fondamentalmente nella dimensione campionaria e nella non disponibilità di dati di monitoraggio biologico relativi ad epoche pregresse, caratterizzate da prevedibili livelli più elevati di emissioni industriali, relative soprattutto all’epoca prenatale e postnatale dei soggetti esaminati in cui si realizza una maggiore vulnerabilità durante lo sviluppo delle funzioni nervose”.

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Ilva, Taranto

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